sabato 26 marzo 2011

In ascolto del vangelo: "dammi da bere!"

“Dammi da bere!” Era caldo quel giorno, la luce abbagliante del mezzodì rendeva i contorni delle cose poco definiti e la mente un po’ confusa. Eppure quelle parole le avevo sentite; la voce di un uomo, ma ancora non lo distinguevo bene. Era una voce calma e calda, rassicurante. Quelle parole ebbero in me una strana risonanza...

Subito, quella richiesta ricordo che mi ha stupito: man mano mi avvicinavo al pozzo con la mia brocca vuota, guardavo quell’uomo, e mi accorsi che era un Giudeo in viaggio e, lo so bene, i Giudei odiano noi Samaritani, ci considerano infedeli e meticci. E poi io, sono solo una donna... è così raro che un uomo mi parli con la calma e la benevolenza di quel viandante.

Da una parte, allora, mi sono meravigliata e, forse, gliel’ho anche detto... Ma, insieme, quelle parole mi hanno messa di fronte alla mia realtà: ero io quella abituata a chiedere da bere, a tutto e a tutti... Nessuno mai aveva chiesto da bere a me, tutti abituati a prendere senza chiedere! Io invece sempre mendicante... Ogni giorno andavo ad attingere acqua al pozzo, senza rendermi conto che in fondo la brocca vuota ero io; senza rendermi pienamente conto che a tanti pozzi nella mia vita avevo avuto bisogno di attingere: felicità, pienezza, protezione, senso di vivere... ma quante ricerche sbagliate! Quanti pozzi si sono rivelati solo cisterne vuote e malsane! Quante acque amare mi sono bevuta! Tanti, Signore mio, sono stati i miei errori, tanta la mia fiducia riposta in chi non ne meritava...

Ricordo che avevo sete quel giorno, nel caldo di quel meriggio assolato. Sete di acqua, sì, ma sete soprattutto di affetto, di riconoscimento, di relazioni vere e calde... Sotto sotto, anche se mai avevo avuto il coraggio di dirmelo, andavo al pozzo a quell’ora assurda, quella più calda, proprio perché a quell’ora si fermano i viandanti a riposare presso i pozzi. A quell’ora, al pozzo, non ci sono le altre donne della città, che sempre hanno tante cose poco carine da dire sul mio conto: che sono una poco di buono, che non sono affidabile, che cambio uomo ogni mese... A quell’ora ci sono i viandanti; ed essi parlano di paesi lontani, di sogni, di speranza. Fu proprio a quell’ora che, due anni fa, incontrai al pozzo l’uomo con cui vivo adesso... Ma anche lui, come gli altri, non ha saputo accogliermi e amarmi. E anche lui, come gli altri, ora non faceva altro che usarmi.

Ma, quel giorno, la domanda del viandante Giudeo misterioso improvvisamente mi buttò di fronte all’abisso di quella mia solitudine; in fondo, anche quel giorno, il mio cuore stava gridando. Ma io sempre gli impedivo di farlo, mettevo a tacere il mio vuoto e il mio non senso dietro ad una maschera di apparente e scostante durezza. Lui invece cominciò a parlarmi di un’acqua diversa, viva e feconda, che disseta davvero e in pienezza, che dà vita a chi la beve e chi la beve a sua volta dà vita... non capivo bene, ma sentivo che desideravo quest’acqua, e gliela chiesi! “Dammi quest’acqua: sono stanca di avere sete e di cercare...” E improvvisamente mi trovai dall’altra parte: come se la brocca che avevo in mano io non serviva più e invece il secchio giusto era quello che possedeva lui, anche se ancora questo secchio non lo vedevo. E per la prima volta mi sono ritrovata a chiedere da bere, dando finalmente voce ai tanti miei desideri inespressi e soffocati.

Chissà perché a quel punto lui mi ha chiesto di andare a chiamare mio marito; non so perché, ma dicendo così ha dato una forma ai miei desideri inespressi: ho sete di amore, di comprensione, di fiducia... tutte le cose che ho sempre cercato disperatamente in tante relazioni disordinate e frettolose, e tutte mi hanno lasciato l’amaro in bocca... E lui, il viandante, sapeva questo di me: “hai detto bene: io non ho un marito; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito”. Guardata, capita, conosciuta intimamente: questo il prodigio che il viandante ha operato in me. La mia ferita più profonda, la mia ricerca più disperata... lui capiva queste cose, ancor prima che le capissi io, e le accoglieva senza giudicarle!

“Davvero costui deve essere un profeta”, ho pensato, “perché mi legge nel cuore come solo Dio sa farlo e però, diversamente da quel Dio che i benpensanti e professionisti del sacro mi propinano, mi guarda con bontà”. Davvero quel profeta mi ha fatta sentire accolta così come solo il Dio di quando ero bambina mi accoglieva. E quel volto di Dio smarrito, sepolto da tanti miei anni di ricerche sbagliate, di peccati, di giudizi malevoli ricevuti, prendeva forma nella voce calda di quel profeta! E allora un altro prodigio è avvenuto nel mio cuore: non solo mi sono resa conto di avere sete, ma anche mi sono accorta che un’antica nostalgia di Dio si risvegliava in me; e i miei occhi si sono bagnati di lacrime al pensiero di quanto tempo avevo passato a rapportarmi solo con un Dio formale e inamidato, puntiglioso e distante. Invece Dio, mi accorgevo ascoltando quel viandante che mi parlava di “adorare il Padre in spirito e verità”, Dio è uno che chiama, che aspetta, che cerca; uno che porta pazienza, che insiste, che abbraccia. Stare dalla parte di Dio non significava più fare delle cose per lui (salire al santuario, offrire animali in sacrificio, avere tutte le carte in regola), ma adorarlo, stare bocca a bocca con lui, cioè respirare del suo respiro, parlare il suo linguaggio, metterlo davanti a me in ogni momento della vita, e anche in ogni spazio... Sì, in ogni spazio, perché nelle parole di quel viandante profeta, cadevano anche tutte le barriere tra spazi sacri e spazi profani, spazi di Dio e spazi dell’uomo, luoghi dove pregare e luoghi dove vivere. Non più su questo monte Garizim, dove da sempre noi Samaritani preghiamo Dio attirandoci le critiche dei Giudei che offrono sacrifici solo a Gerusalemme, e non più neanche nel tempio della città santa... ma ovunque Dio si rende vicino e accessibile, amico e padre. E quel profeta che mi guardava e mi parlava sembrava quello il luogo giusto per parlare con Dio. Quell’uomo bello e affaticato, con gli occhi dolci e velati di tristezza, con la voce mite e forte che dava speranza... quell’uomo, quel corpo, quelle parole: ecco il luogo giusto per parlare con Dio.

E mentre, lasciata lì la brocca, correvo verso la città, lasciandomi quel profeta alle spalle, è come se lui fosse ancora lì con me; lui ora era ancora al pozzo a parlare con i suoi discepoli... chissà, magari ha parlato loro anche di me: in fondo avevo capito che era stato felice di parlarmi e ancora più felice e soddisfatto e sazio nel vedermi cambiare e piangere; forse avrà parlato loro dell’incontro con me come di qualcosa di importante, di sacro, di desiderato. Insomma, lui era ancora lì a parlare al pozzo con i suoi discepoli e io ero in città a chiamare conoscenti e amici... ma era come se fossimo ancora insieme, ed era come se il luogo dove parlare con Dio, il corpo di quel profeta, fosse ancora davanti a me. Come se dopo averlo incontrato si fosse aperta una strada nuova, larga e sicura, che più non si sarebbe chiusa. E in me risuonavano le sue parole alla mia domanda “so che deve venire il Messia...”; due parole semplici e grandi: “io sono”. Due parole che mi parlavano di una presenza continua e amante, una compagnia forte e fedele; le stesse parole che Mosè sentì pronunciare al roveto: “io sono”.

La mia brocca quel giorno restò vuota, dimenticata. Come la mia brocca, quel giorno, tante altre cose hanno perso d’importanza: il mio ruolo, la mia immagine, i miei bisogni, il mio lavoro. La mia brocca restò là dimenticata, perché da quel giorno ho imparato a confidare nelle parole di quel Gesù, il Messia: “se conoscessi il dono di Dio, egli ti darebbe acqua viva”.

Io avevo scoperto di essere una brocca vuota che quel maestro riempì di speranza; e mentre andavo in città a chiamare gli altri, mi rendevo conto che la speranza che lui aveva riversato in me io la stavo riversando sui tanti volti tristi e grigi dei miei conoscenti. Quell’acqua donatami davvero era prodigiosa: più ne bevevo per me e più ne avevo per gli altri. “Mi ha detto tutto quello che ho fatto”, dicevo loro, perché volevo che capissero che con lui mi ero sentita a casa... Ma che gioia grande, quando anche la mia amica Miriam ripudiata dal marito mi ha detto: “oggi mi sono sentita amata” e mia sorella Anna diceva “ho scoperto che Dio non mi condanna”; e anche lui, Gedeone, che tanto mi ha fatta soffrire e tanto mi ha ferita, mi ha chiesto “perdonami, come Dio ha saputo perdonarmi”, e Rachele, la mia figlioletta nel fiore degli anni, diceva “oggi le persone hanno uno sguardo diverso”...

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